Lidia Manzo: “Sogno quartieri multietnici”
27 June 2013 - Impact Hub

Sono dottoranda in Sociologia presso l’Università di Trento, mi occupo di Etnografia e sono autrice del documentario “Via (da) Paolo Sarpi” insieme ad altri testi scritti e visuali urbani. Questo blog racconta tutto di me: LidiaKManzo…  del resto amo le contaminazioni e indosso molti cappelli diversi. Mi piace scrivere, così sono diventata giornalista a 24 anni; ho scoperto la sociologia a 32 e ho iniziato a capire che forse quello che vedevo nella città e nelle sue diverse urbanità poteva rientrare fra le mie passioni e le mie ricerche. Principalmente mi interessa la vita degli altri, raccontare e analizzarne le tensioni (politiche, economiche, etniche/razziali, di classe, di genere…) le loro forme e stili in relazione ai fenomeni di cambiamento urbano. Così ho lavorato sul quartiere Sarpi-Canonica, la cosiddetta Chinatown di Milano, e mi sono spinta poi nel nord America, per capire “come funzionano” città i cui flussi sono estremamente più veloci e globali, e quali modelli di “partecipazione comunitaria” sia possibile sviluppare al livello micro nei quartieri urbani.

In che maniera il tuo progetto rende il mondo migliore?

Grazie all’hosting in via Paolo Sarpi di The Hub sto lavorando a un progetto (non posso ancora dire di più…) proprio su questo quartiere di Milano. Coinvolgeremo i residenti e i negozianti, italiani e cinesi, i pensionati e gli artisti, gli operai e i professionisti, i politici piuttosto che gli studenti  per mettere a frutto quello che ho imparato negli States, a Brooklyn: il community based research.  Credo che per raggiungere quella che potremo chiamare una certa “sostenibilità urbana” sia necessario sviluppare nuove politiche di pianificazione basate sulla integrazione di dimensioni legate all’urban design, alla ricerca partecipativa a livello di quartiere e all’interconnessione/relazione tra le persone e i luoghi fisici, costruiti. Questa è la mia filosofia.

Qual è stato il tuo momento di maggiore difficoltà?

Ce ne sono sempre, continuamente, soprattutto quando si nasce così dannatamente idealisti!! Pensando al mio lavoro di ricerca ricordo due momenti di super crisi sia quando ho lavorato su via Paolo Sarpi, che per la ricerca di dottorato a Brooklyn. In entrambi i casi mi trovato al “giro di boa”, quello in cui sei estremamente vulnerabile per il percorso etnografico/riflessivo che stai vivendo. Mi è capitato di ricevere una forte delusione da persone con cui stavo lavorando o che erano importanti punti di riferimento per il mio progetto. Non lo so esattamente come ne sono uscita, forse la risposta sta nella foto che vi ho lasciato: vivendo, lavorando, creando

Qual è stato invece il tuo maggiore successo?

Provo sempre grande difficoltà a indentificare i miei successi, forse sono troppo critica… senza dubbio ricordo momenti di passaggio in cui ho realizzato degli obiettivi, ecco.Piuttosto, mi da grande soddisfazione ritrovare qualcosa di me negli altri. Ti spiego. Mi è capitato quando tenevo corsi di karate per ragazzi, o con colleghi ricercatori a Brooklyn o ancora a Milano, recentemente, durante un progetto con giovani di seconda generazione. Ad un certo punto ho ritrovato qualcosa di me nel loro modo di fare karate, di fare ricerca o di sviluppare progetti. E quando me ne sono accorta, mi sono sentita davvero importante.

Perché sei a The Hub e che cosa ti sta dando essere parte di questa rete?

E’ successo per caso! Ero appena tornata dalla ricerca di dottorato a Brooklyn, stavo ancora cercando di adattarmi ai luoghi e a ri-concettualizzare in italiano e non in inglese, quando ricevo una e-mail da The Hub che mi chiede di organizzare una proiezione del mio documentario su via Paolo Sarpi. Così conosco Vita e, quasi magicamente direi, si è stabilita una connessione… italiano, inglese, io sociologa, lei geografa umana, parlavamo la stessa lingua! Ho capito in un attimo che a The Hub avrei trovato terreno fertile per nutrire la mia curiosità multidisciplinare.