L’orto nel campo profughi
27 March 2013 - Impact Hub

Un orto dove non te l’aspetti, in cui si coltivano fagioli, gombo, zucche, meloni, arachidi. E ancora patate, carote, cipolle, peperoncini, insalata, prezzemolo, peperoni, barbabietole, melanzane, dah rosso, cavoli, mele e menta. Un uomo che va avanti nonostante tutto: Himba, dell’etnia tuareg, che racconta, spiega, insegna, coinvolge. Bambini – anche molto piccoli – che si divertono a fare i contadini (e ogni tanto l’orto lo distruggono pure). E poi… donne che piantano semi venuti da molto lontano e uomini che lavorano contro il vento, la sabbia e la mancanza d’acqua.

Questa che vi raccontiamo potrebbe essere la storia di un orto qualunque. Invece è la storia speciale di un orto, di tanti orti che colorano le bianche tende delle Nazioni Unite, all’interno di un campo profughi. Questa storia ci arriva dalla Mauritania, a 18 chilometri dalla città di Bassikounou, nel sud est del paese, a soli 60 chilometri dalla frontiera con il Mali. Il campo profughi è quello di Mbera che– insieme ai campi del Burkina Faso e del Niger – ospita sempre più maliani in fuga dal proprio paese. A oggi sono circa 75.000 gli ospiti stimati, e ogni giorno gli arrivi sono sempre più numerosi (anche fino a 300 persone). Le notizie che arrivano non sono confortanti. I rappresentanti di Medici senza Frontiere parlano di condizioni sempre più critiche nel campo, soprattutto dal punto di vista nutrizionale. Basti pensare che il tasso di mortalità dei bambini al di sotto dei due anni supera i livelli di emergenza. E in Mali la situazione non sembra migliorare, anzi si moltiplicano le vendette e le ripercussioni sulla popolazione locale.

Eppure c’è chi non è stato a guardare. Almahdi Alansari – Himba, per tutti – è scappato da Timbuctu, in Mali, con la sua famiglia. Amico di Slow Food da sempre, nel suo paese lavorava con le produttrici di pasta katta e coordinava il Presidio. E con sé ha portato la sua esperienza. Con le sementi arrivate da Gao – cittadina nel nord del Mali – ha iniziato a fare il primo orto accanto alla sua tenda. Non si è perso d’animo. Ha parlato con le donne, ha coinvolto gli uomini. E oggi circa 50 persone lavorano con lui, hanno avviato piccoli orti, coltivano in modo tradizionale le sementi che arrivano dal nord del Mali e lavorano per proteggerle dalle zanzare, dai volatili e… dai bambini!

«I problemi sono tanti, certo», scrive Himba. «Manca l’acqua, la polvere della sabbia è sollevata dal forte vento che soffia in continuo e l’umidità è altissima. Molti sono inesperti, non ci sono protezioni e capita di trovare vermi o topi nelle verdure coltivate. Ma le donne si impegnano molto e anche i bambini che hanno piccoli spazi per loro sono fieri di esserne proprietari. Ogni giorno sensibilizzo le persone coinvolte, non mi stanco di spiegare le buone pratiche e incoraggio, anche se sarebbe fondamentale una formazione per poter migliorare le condizioni».

E, dalla mail che ci arriva, si leggono parole di speranza. «È grazie agli orti che si è verificato un cambiamento nella mentalità delle persone, vedo quanto le donne amano la natura e quanto siano orgogliose di poter mettere in atto quanto facevano a casa propria. Coltivare significa avere un’occupazione, verdura fresca, dimenticare per un po’ i problemi. Qui i giovani e i meno giovani si incontrano e si scambiano le esperienze». Tutto è cucinato in modo tradizionale, e chissà forse garantisce un po’ di sicurezza alimentare in più. I legumi, ad esempio, sono bolliti nell’acqua e mangiati in insalata oppure cucinati con la salsa.

E la pasta katta? Certo non è stata dimenticata. Simili alle trofie, i katta sono una pasta di farina di grano locale molto particolare che le donne preparano per gli ospiti importanti e le festività. E così la tradizione si ripete anche nel campo profughi, come ci racconta Himba. Le donne lavorano con le proprie figlie e – nonostante l’occupazione principale sia badare all’abitazione, cercare l’acqua e andare a scuola – continuano a preparare i katta a ogni festività.

Un po’ di normalità, insomma, pur in mezzo a tante difficoltà.

By Staff – HUB Milano in collaborazione con Slow Food