Martina Camporeale
26 April 2012 - Impact Hub

Sono Martina Camporeale ho 35 anni e mi occupo di enogastronomia dal 1998. Ho lavorato come buyer vini e sommelier, ho partecipato a diverse start-up come consulente per la ristorazione, lavorando a nuovi concept sul mangiare fuori casa. Nel 2006 ho creato ivinidadivano, corsi di avvicinamento al vino per bevitori in erba, un modo nuovo per parlare di vino senza sovrastrutture eccessive. Al contrario di tutti i gaudenti e foodies, non ho memorie d’infanzia seduta sullo sgabello in cucina a girare la crema. Mia nonna non era una cuoca sopraffina e mia madre mi ha nutrita a focacce e pesce crudo (mica merendine però! Santa donna…). Questo a dimostrazione che buongustai non si nasce, ma che il gusto si può educare ed è un processo irreversibile. Chi impara a mangiare bene difficilmente ridiventerà un mangiatore di junk food scellerato.

Il mio progetto si chiama zerobriciole è un food delivery con le idee chiare. Cibo buono, bello e che ti vuole bene. Salubrità, ma senza punizione. La nostra innovazione non passa dalla particolarità della ricetta o dell’ingrediente impossibile, ma dal cambio di paradigma di fruizione. Un cibo che non ingombra, non sbriciola e non sporca, un mangiare “composto” e divertente che non impatta con la tecnologia e le scartoffie. La tradizione ci piace, ma non vogliamo viverla come un limite, ci piace ibridare cucine e stili, perché così che è nata la cucina, viaggiando. Nel nostro menù si possono trovare dai falafel alle madeleine, dallo spaghetto con il coriandolo alla pasta e fagioli.

In che maniera il tuo progetto rende il mondo migliore?

Vorrei salvare Milano dallo scempio delle pause pranzo preriscaldate del bar. Zerobriciolerende il mondo migliore perché si prende cura di un momento della giornata in cui il cibo viene visto più come un momento funzionale, che ludico e ricreativo come dovrebbe essere. Mi ha sempre affascinata il concetto di trasportabilità del cibo e trovo nel gelato la sua sintesi perfetta: il vero street food ante litteram. Mi piace mangiare in città, all’aria aperta, fuori da ogni schema orario ed ho sempre guardato con invidia come all’estero sia facile procurarsi una zuppa da passeggio o portare a spasso una bevanda calda senza ustionarsi come succede qui. Zerobriociole, quindi, è stato pensato come cibo da scrivania, ma ai nostri clienti suggeriamo sempre di andarsi a fare una passeggiata, tanto il pranzo lo portiamo noi dove più si preferisce. In area C consegniamo in bicicletta grazie agli UBM e speriamo presto di coprire tutta la città.

Qual è stato il tuo momento di maggiore difficoltà?

Quando mi sono resa conto di non potere avere accesso a nessun finanziamento e agevolazione, in quanto non troppo giovane, non troppo donna, non troppo soggetto svantaggiato, non troppo imprenditrice, non troppo milanese. Ho avuto un momento di grande scoramento e disistima nei confronti del mio paese. Il secondo momento è stato resistere alla tentazione a delinquere. Le nostre normative specie in materia di lavoro e assunzioni, mettono a dura prova l’integrità e la pazienza di un imprenditore. Alla fine sono riuscita a trovare delle soluzioni di inquadramento che rendessero felici tutti, mantenendo salda la natura etica di zerobriciole, perché prima degli ingredienti biologici noi siamo rispettosi nei confronti dei nostri dipendenti, clienti e fornitori.Il terzo momento è stato quando stavano montando la canna fumaria del nostro laboratorio, c’erano gli operai sotto la neve su un’impalcatura semi traballante, appesi al tetto. C’erano vento e gelo e sembrava tutto sospeso e fragile. Più che momento di difficoltà, ho avuto sinceramente paura e un senso di responsabilità pesante. È la prima e l’ultima volta che ho pensato “ma chi me l’ha fatto fare!?”.

Qual è stato invece il tuo maggiore successo?

Essere stata capace di trovare i miei collaboratori, raccontando loro una storia, una visione, una poesia intorno a una polpetta, intorno a un laboratorio culinario e un progetto che ancora non esisteva, farli innamorare della filosofia, ispirarli, guidarli, convincerli a lanciarsi insieme a me. Loro sono stati coraggiosi e per me è stato un successo sedurli con una visione. Stiamo lavorando molto bene insieme e non è facile.

Perché sei a The Hub e che cosa ti sta dando essere parte di questa rete?

Hub per me è stato prima di tutto un modo per entrare in connessione con una città nuova. Arrivata a Milano da qualche mese, non conoscevo nessuno, non avevo amici e riferimenti personali e professionali. Essere arrivata a the Hub mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con persone, scambiare competenze, sapere di avere sempre un interlocutore con una visione originale pronto a confrontarsi, ma soprattutto ad ascoltare. Quando penso a the Hub mi viene sempre in mente il discorso di Jobs sui “connecting dots”: gli hubbers sono tanti puntini che collegandosi tra loro possono generare disegni e forme sempre nuovi, in tempi diversi su scenari diversi, una specie di grande mappa cosmica. È questo che mi piace di The Hub!